Chiara Poggi

La Cassazione, il 12 dicembre 2015, ha confermato in via definitiva la condanna a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi, mettendo la parola fine a una vicenda giudiziaria che dura ormai da otto anni. Alberto Stasi si è consegnato in carcere poco dopo la decisione della V Sezione Penale che ha respinto sia il ricorso di Alberto Stasi che quello della procura generale di Milano che chiedeva per Stasi una condanna a 30 anni, includendo l’aggravante della crudeltà dell’omicidio.

IL CASO

Il 13 agosto 2007, la 26enne Chiara Poggi fu trovata priva di vita in una pozza di sangue sulle scale che conducevano alla cantina della sua villetta di famiglia a Garlasco, in provincia di Pavia. Chiara, colpita con un oggetto contundente, avrebbe aperto la porta al suo assassino in pigiama, probabilmente perché lo conosceva. A lanciare l’allarme fu il fidanzato Alberto Stasi, che finì subito al centro delle indagini per il suo atteggiamento freddo e alcune incongruenze nel racconto.

La scoperta del corpo e la chiamata al 118

Fu lo stesso Stasi, all’epoca studente universitario, a trovare il corpo e a contattare i soccorsi. “Serve un’ambulanza. Credo che abbiano ucciso una persona. Forse è viva… non ne sono sicuro,” disse nella telefonata al 118, effettuata mentre si dirigeva dai carabinieri. Gli inquirenti trovarono il tono della chiamata pacato e insolito, un dettaglio che alimentò i sospetti su di lui.

Le indagini e il comportamento del fidanzato

Il comportamento di Alberto Stasi, definito distaccato e poco emotivo, unito a presunti racconti contraddittori, spinse gli investigatori a concentrarsi su di lui. Arrestato il 24 settembre 2007, fu rilasciato pochi giorni dopo per insufficienza di prove. Questo fu l’inizio di un iter giudiziario complesso, segnato da due assoluzioni, un rinvio in Cassazione e una condanna definitiva.

I misteri del delitto: tracce di sangue e biciclette

Per l’accusa, Stasi non avrebbe potuto lasciare la scena del crimine senza sporcarsi di sangue. Eppure, i suoi abiti e le scarpe risultarono immacolati, come confermato dalle analisi dei RIS. La difesa sostenne che il sangue, ormai secco, non si era trasferito sui suoi vestiti. Un altro elemento chiave fu la bicicletta vista fuori dalla villetta la mattina del delitto, oggetto di analisi e sospetti di collegamento con Stasi.

La condanna definitiva

Dopo un lungo processo, nel dicembre 2015, la Corte di Cassazione condannò Alberto Stasi a 16 anni di reclusione. Nonostante si sia sempre proclamato innocente, dal 2023 il condannato partecipa a programmi di riabilitazione per detenuti, lavorando come contabile all’esterno del carcere.

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